A Firenze un laboratorio sociale ha sperimentato gli effetti delle frontiere sui corpi delle persone migranti

La tappa toscana della Road Map per il diritto d’asilo e la libertà di movimento si è caratterizzata per essere una vera e propria rete di attori che nel locale si occupano in vario modo e a vario titolo del tema.

La necessità riportata, oltre alla parte formativa sul piano europeo relativamente ai nuovi regolamenti del patto appena approvato, è stata quella di informare correttamente la cittadinanza prima coinvolgendola e interessandola al tema attraverso la proiezione di Green Border, film della regista polacca Holland che descrive da tre punti di vista il violentissimo confine bielorusso-polacco, di chi cerca di attraversarlo, di chi deve tenerlo chiuso e di cerca di far rispettare i diritti umani. Mette di fronte lo spettatore e lo obbliga a stare da cittadino italiano ed europeo tra il confine Ue e non Ue, tra quella che dovrebbe essere la civile Europa e ciò che ne rimane fuori.

Successivamente come evento finale di restituzione del percorso, la rete e il gruppo di lavoro degli attivisti e delle attiviste hanno deciso di portare sul palco di una delle case del popolo che rappresentano la resistenza italiana e toscana il reading giornalistico di Gabriele Del Grande, ispirato al suo stesso testo Il Secolo Mobile. L’evento si è tenuto sabato 13 aprile alla Casa del Popolo di Settignano in provincia di Firenze, in collaborazione con COSPE onlus.

Prima di aprire il sipario però, si è deciso di far sperimentare sulla pelle di tutte le persone che desideravano seguire lo spettacolo, quello che già accade e accadrà in veste ancora più ordinaria a chi arriva via mare o via terra in Italia. Si è deciso di sperimentare frontiere, violenza istituzionale e invisibilità dei corpi e delle essenze umane, in veste di nuovo patto europeo immigrazione e asilo.

Il risultato è stato molto potente, come riportato dagli spettatori stessi, ma ha aiutato anche a comprendere, vivendolo direttamente su sé stessi, cosa provoca quotidianamente il sistema europeo sul fenomeno migratorio a migliaia di persone che cercano, attraverso la migrazione, un modo per costruire un futuro più stabile per sé e le proprie famiglie più o meno lontane.

La rete ha sentito forte l’esigenza di una restituzione che fosse più incisiva possibile, in termini di sensibilizzazione della cittadinanza e così e nata l’idea di un “laboratorio sociale” pre-spettacolo, per sperimentare le procedure di screening, falsa accoglienza ed esclusione proprie del patto Europeo.

In quest’ottica sono stati preparati anche due racconti, che qui si riportano integralmente, il primo è di Zoraide Cinelli, ed è stato letto prima dello spettacolo teatrale, il secondo è di Federica Franco, ed è stato affisso sui cartelli in lettura.

ZORAIDE CINELLI

Vivi in un piccolo paesino della Toscana, di cui ami tutto, sapori, odori, persone, feste di paese e eventi culturali. Si vive in un clima familiare che però sta stretto, vorresti qualcosa di più che puntualmente questo paesino non ti può offrire, un’istruzione migliore o anche solo un’opportunità lavorativa che ti permetta di vivere la tua vita al livello che tu vorresti. Sei sempre stata la persona sotto ai riflettori, non per le tue risorse umane, ma perchè sei sempre statƏ quellƏ che per la famiglia potrebbe far tanto, potrebbe far tutto. Tuo padre è morto da tempo, poco male, era il molesto della famiglia e tu non lo volevi nella tua vita, però era colui che “portava il pane a casa”, ora tutto il paese e tutta la tua famiglia chiedono questo da te.

Non dormi, sei perennemente distaccato in tutte le attività che fai. Cosa devo fare? Dove devo andare?  Perchè io, perchè non mia sorella o il mio fratellino?

Parli con la persona che fin da piccolƏ hai frequentato, che ti ha visto crescere e formarti. Ti dà un’idea: “perchè non intraprendiamo insieme IL VIAGGIO?”, rimani zittƏ, prendi fiato “il viaggio? Ma sei impazzitƏ?”. No, non è impazzitƏ, ne ha sentito parlare nel paesino vicino al tuo, dicono sia semplice, basta mettere da parte un pò di soldi e sei dall’altra parte.

Due mesi dopo sei prontƏ. Ecco il grande giorno. Tua madre ti saluta piangendo, ma perchè piangerà? La solita disfattista. Dice che ha sentito voci che questo viaggio è pericoloso e che non tutte le persone ce la fanno. Ce la fanno a fare cosa? Boh, rimani storditƏ.

Parti

Non sai bene come si viaggia perchè non lo hai mai fatto, sei sempre statƏ nel tuo paesino e quindi per te è tutto normale. Attraversi paesi e ogni volta quei soldi che hai tanto guadagnato diventano meno perchè incontri militari che ti rubano ogni cosa, ma è normale no?! Boh non lo so.

La Francia, l’hai sempre sognata, fin da piccolƏ. Tutti quegli edifici che ti hanno fatto studiare sui libri, la baguette, la “r” strana, le persone che fanno cose diverse dal tuo paesino, che sono diverse, la moda, la cultura… Si, è li che andrai ad essere la persona del tuo futuro!

È notte.

Un poliziotto. Ti tocca. Ti rigira. Ti graffia. Ti urla contro. Ti sbatte dove “devi stare”.

“Documents”, ma come documents? io non ho niente con me, ho perso tutto quella sera che dormivo sotto un ponte e mi hanno rubato le mie ultime cose. Ora come glielo spiego? “No documents. RUBATI”. Quell’uomo urla ancora, ma non capisco nulla. Il vuoto, il freddo, la persona con cui sono partitƏ è stata divisa da me. Provo a chiedere informazioni, ma non capiscono. Continuano a urlare, provo a dire che non sono unƏ ladrƏ, sono solo io.

C’è una persona che parla la mia lingua, fortuna, ma non mi dà risposte mi fa solo domande. Come ti chiami? Quando sei nata? Da dove vieni?

Rispondo: mi chiamo x y, vengo da Granaiolo, sono natƏ il 12 aprile 2000.

Mi danno un foglio e mi accompagnano da un’altra parte.

Nel foglio c’è scritto: isse essilon, Granaiolo, 12 aprile 1997.

“Scusa”, niente. “Scusa, qua sbaglio”. Il poliziotto prende il foglio, fa una faccia dubbiosa e me lo restituisce. Accidenti, hanno sbagliato tutto e non mi aiutano, come faccio a farmi capire? Ma perchè non capiscono che c’è un errore? Me lo aveva detto mamma a 10 anni che dovevo imparare una lingua straniera, ma a me piaceva la matematica, quella non ha bisogno di traduzioni, è uguale in tutto il mondo, è universale. Mi aggrappo a questo pensiero: l’uguaglianza. Qua di uguaglianza c’è solo il terrore negli occhi di tutte le persone. Cosa ci stanno facendo? Perchè sono arrabbiati con noi? Dove ci portano? Come mai ci fanno tutte queste domande e ci dividono? Cosa abbiamo fatto di male?

Flash

Mamma mia che dolore agli occhi. Ma perchè? Non sono unƏ criminale. Non sono un numero, si, mi hanno dato un numero: 17. Cavolo io sono X Y, no 17. Perchè continuano a trattarmi così?

Impronte.

Mamma mia, ma cos’è sta roba? Perchè non mi spiegano nulla? Ma vado in carcere? Che cosa ho combinato? Mica si ricorderanno di quando ho rubato l’uova a Michela nel pollaio? Cavolo, le ho restituito una settimana di presa di cura della casa, non è bastato?

Mi portano in un dormitorio. Ci sono tantissime persone: 1,2,3,4,.. ho perso il conto a 300. Non ho intimità, sento puzzo di urina, di viaggio. Si, questo lo sento. Per tutto il viaggio ho sentito questo puzzo. Mi fa addormentare perchè mi ricorda qualcosa di familiare e ora ne ho bisogno. La mia coccola.

Sveglia.

Mi prendono, ancora non capisco, ma cosa vogliono? Cosa ho fatto?

Luce

Di nuovo quel ragazzo che parla la mia lingua. Chiedo, è distante. Mi risponde solo “Dopo”. “Scusa hanno sbagliato tutto nel mio riconoscimento di ieri notte”, “Dopo”. “Ma cosa mi stanno facendo?”, “Stai zittƏ, ho detto dopo, lo vedi che sto lavorando?”. Accidenti, deve venire da Fontanella, ce l’hanno sempre avuta a cane con noi di Granoiolo, perchè abbiamo la stazione e loro no.

C’è un medico con lui. Chiaro che sia un medico, ha un camice bianco nascosto da un grembiule blu fine, mascherina, guanti. Mamma mia, ma di cosa ha paura?

L’uomo che parla la mia lingua mi comincia a dire che ho passato il primo step. Il primo step? Mi dico. Ma quale step? Io sono qui per studiare e cercare un lavoro, ma di che ragiona? Dice che hanno controllato su un portale la mia identità e non risultano tentativi di ingresso. Ingresso? Ma cosa sta dicendo? Sono paralizzatƏ. Non risco a dire una parola a mia discolpa. Ma discolpa di cosa? Portale?

Esami e domande

Mi chiedono tutto quello che mi è successo a livello sanitario nella mia vita. Ma cosa ne so io? Ma dove è mamma? Lei sa sempre tutto quello che mi succede, saprà anche questo. Vaccini? Malattie? Ma non lo so, non lo so. Fatemi chiamare mamma

Non c’è tempo. Dicono “Buona salute”.

Passo in un altro reparto. La c’è una signora con gli occhiali. Finalmente una figura femminile, forse mi aiuta. “Hai subito violenze di qualsiasi genere durante la tua vita?”. Scusa ma chi sei? Ma come ti permetti di fare certe domande. Io non posso ragionare con te di certe cose, io mica ti conosco. L’uomo di Fontanella mi dice che è una prassi, serve a capire se hai una vulnerabilità perchè hai solo pochi mesi per denunciare un abuso, poi vieni trattato con una procedura ordinaria o accelerata. SCUSA????!!!! Ma cosa vuol dire?

Nono, ferma il treno. Io sono qua per il mio futuro, che cosa è procedura ordinaria o accelerata? Cosa devo accelerare?

Mi legge dei diritti e i miei doveri nei confronti di questo posto che mi ospita. Non riesco a capire niente, sono storditƏ. Sembra una lingua a me incomprensibile, eppure è la mia. Mi guardo in giro. Mi accorgo solo ora che sono circondatƏ da altre persone. Eccola, la persona con cui sono partitƏ. Anche sul suo volto si legge che è persƏ. Ci guardiamo. Sembra un sorriso, ma in realtà cade una lacrima dai nostri occhi.

Riaccendo il cervello

“Avete 7 giorni per restare qui. Datemi retta: FATE DOMANDA DI ASILO. È l’unica vostra opportunità. Le vostre zone sono definite sicure e questo comporta un respingimento indietro. Facendo domanda di asilo e raccontando il motivo per cui siete qua potete avere la possibilità di rimanere, ma devo essere brutale con voi, la possibilità è minima”.

Lo faccio. Una settimana dopo mi dicono che devo andare in un altro centro.

Ho paura. Voglio tornare a casa. Non ho capito niente di quello che è successo, ma volgio rivedere mamma e dirle che aveva ragione. Casa mia è meglio.

Aiuterò Michela con il suo orto e lascerò la mia voglia di fare matematica, conterò l’uova delle galline, anche quella è matematica.

FEDERICA FRANCO

Dopo un viaggio logorante, obbligato dall’assenza di uno strumento normativo che mi permetta di entrare in Europa attraverso vie differenti da quelle cosiddette clandestine, arrivo in Italia, e vengo trattenutə in un centro, che di accogliente ha ben poco.

Le procedure per il riconoscimento della mia persona devono essere concluse entro pochi giorni, ma le persone qui sono tante e le tempistiche reali non combaciano con le previsioni del Regolamento.

Il mio nome è stato scritto male, la mia data di nascita non è corretta. Che ne è della mia identità?

Aspetto, non posso uscire.

Aspetto, con il bisogno di sapere quello che mi succederà.

Aspetto, mentre prendono i miei dati personali.

Aspetto, mentre nessuno a casa sa più niente di me.

Aspetto, in uno spazio angusto e in un tempo sospeso.

Sono in Italia, ma è come se non ci fossi. Esisto, ma sono invisibile, relegato.

E se l’Italia prendesse il coraggio di investire in un sistema di vera accoglienza in cui anziché di reclusione fallimentare si parlasse di progettualità, ricchezza e scambi proficui per tuttə?

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