Caserta rivuole l’accoglienza da Oscar. Reportage ( immagini e  montaggio Gianluca Palma e Francesco Natale)

Era il 18 settembre del 2008 quando gli uomini agli ordini del boss del clan dei Casalesi, Giuseppe Setola, fecero fuoco davanti alla sartoria Ob Ob Exotic Fashion a Lago Patria, frazione di Castel Volturno, in provincia di Caserta, uccidendo per sbaglio sei cittadini africani, provenienti dal Ghana, dalla Liberia e dal Togo. Oggi i buchi dei Kalashnikov sono ancora visibili sul muro della sartoria (che non esiste più) e una stele messa lì dagli attivisti e dalle attiviste del centro sociale ex Canapificio ricorda la strage di “San Gennaro”.

Il nostro viaggio per comprendere le situazioni in cui ora vivono i migranti in provincia di Caserta, comincia da qui, da un luogo simbolo dell’Italia razzializzata. In quello stesso anno arriva a Lampedusa dopo un viaggio di tre anni attraverso il deserto e i lager della Libia, Mamaodu Kovassi, l’uomo che ha ispirato la storia che racconta il film “Io Capitano” di Matteo Garrone che è stato candidato come miglior film internazionale agli ultimi Oscar.

Oggi Mamadou, dopo essere stato accolto anni fa dalla Caritas locale, a Caserta lavora come mediatore culturale all’interno dei progetti di tutela di migranti e rifugiati che da anni il Centro Sociale porta avanti. «Mamadou e molti altri arrivano qui dopo un’altra strage di migranti, quella di Rosarno che mise in fuga molti braccianti, furono accolti dalla Caritas locale e successivamente inseriti nel Sai, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ora non sarebbe quasi possibile», ricorda Mimma D’Amico, tra le storiche porta voci del centro sociale.

«Qui facevamo gli sportelli di ascolto e le assemblee, questa per tanti anni è stata la sede dove si gestivano le attività legali del Sai, è stato così dal 2007 al 2019, poi il Sai è morto anche qui», dice Maria Rita Cardillo, un’altra attivista, davanti ai cancelli chiusi e alla sede sotto sequestro dal 2019 dell’ex Canapificio». Allora i carabinieri del nucleo investigativo di Caserta misero sotto chiave la struttura su ordine della locale procura coordinata da Maria Antonietta Troncone, con la motivazione che i locali non sarebbero stati a norma e «per evitare danni alle centinaia di persone che ogni giorno si servono dei locali e si recano agli sportelli», sosteneva la procura. La stessa cosa sosteneva qualche mese prima l’allora ministro dell’interno, Matteo Salvini, indicandolo come abusivo e da sgomberare. In parallelo, alcuni attivisti furono indagati per una accusa infamante: essersi appropriati dei fondi per l’accoglienza dei migranti. L’accusa poi si sgonfiò, e pazienza se ora Caserta, per la volontà politica di un ministro, invece, si è vista ridimensionare un esempio di buona accoglienza e vera inclusione sociale, oltre che un’esperienza di lotta sindacale che è stata anche argine alla malavita e allo sfruttamento, portando ricchezza sociale su tutto il territorio.

«Abbiamo aperto una vertenza ormai molti anni fa con la regione Campania», continua Mimma D’Amico: «affinché quello spazio potesse essere messo in sicurezza, non potevamo certo farlo noi in maniera privata, avendo un comodato d’uso gratuito da parte della regione. Alle mie spalle c’è l’Ex Omni, aspettiamo anche per questa struttura che la regione Campania stanzi i fondi per la messa in sicurezza e che il comune di Caserta possa destinarla alla casa delle associazioni che vorremmo dedicare a Mamaodu Sy, un nostro storico mediatore ed attivista morto di recente. Che ha lottato a lungo anche lui per ottenere un permesso di soggiorno», conclude.

Dopo i decreti sicurezza del 2019 e quelli più recenti denominati “Piantedosi”, le persone che non hanno un documento sono aumentate esponenzialmente anche in questo territorio, come nel resto d’Italia. Conferma Maria Rita Cardillo: «Molti datori di lavoro, pur volendo assumere gli stranieri non riescono a farlo per vari problemi, i tempi molto lunghi delle questure, per esempio, pensate che per fare una richiesta di protezione si può aspettare anche un anno». A questo si deve aggiungere che a Caserta, l’unico Sai che esisteva è chiuso da cinque anni e la nuova gara d’appalto misteriosamente non parte. «Se fossi arrivato oggi a Caserta non avrei visto quel centro sociale e sicuramente la mia vita sarebbe stata peggiore», ama ripetere Mamaodu Kovassi, che quello stesso simbolo d’accoglienza l’ha fatto conoscere in tutto il mondo, agli oscar del cinema, ma anche della vita reale.

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