L’Aquila che resiste: accoglienza, diritto alla città e tutela dei minori nella tappa conclusiva della Road Map.

A quindici anni dal terremoto dell’Aquila, era infatti la notte del 6 aprile del 2009 quando la terrà tremò e alcuni imprenditori fiutando gli affari della ricostruzione ridevano al telefono, ma che allo stesso tempo attivò uno straordinario processo di attivazione popolare, il 12 aprile scorso abbiamo assistito nel capoluogo d’Abruzzo al consolidamento di un processo di discussione dal basso nato all’interno di un percorso di conoscenza e formazione rispetto a quello che accade sul territorio nei confronti dei cittadini e delle cittadine migranti.

L’occasione è stata la tappa conclusiva della “Road Map per la libertà di asilo e la libertà di movimento” «che a l’Aquila ha organizzato tra marzo ed aprile quattro incontri che sono stati partecipati da 120 persone e 35 enti tra comuni, scuole, Cas, Sai, case famiglie, associazioni culturali e sportive», spiega Anna Rita Silvestri, una delle instancabili attiviste di un laboratorio partecipativo locale che ha coordinato la tappa, introducendo in apertura dell’incontro i contenuti della campagna di Stop Border Violence, e invitando a firmare ai banchetti predisposti l’iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) che chiede la fine delle torture e dei trattamenti inumani alle frontiere dell’Europa.

Giovanna Cavallo, coordinatrice del Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, sottolinea all’inizio del suo intervento l’impegno dei movimenti romani all’interno del processo di ricostruzione dal basso della città abruzzese dopo il terremoto, e poi entra nel vivo della discussione spiegando che «il patto europeo migrazioni e asilo è stato approvato lo scorso 10 aprile dal parlamento, e abbiamo ben presente quali siano gli aspetti più pericolosi, quali la normalizzazione della detenzione e della privazione della libertà a cui andranno incontro le persone migranti; secondo gli scenari che abbiamo formulato, infatti, nei prossimi due, tre anni in Italia dovrebbero essere detenute 70000 persone», aggiunge.  Ma, continua Cavallo: «grazie alle informazioni che abbiamo veicolato nei tanti incontri che abbiamo avuto sui territori, siamo riusciti a strappare 100 voti alla votazione, nel senso che attraverso questa costruzione di consapevolezza, oggi, su questo tema abbiamo un parlamento spaccato a metà, grazie alla pressione che abbiamo esercitato sul partito democratico, infatti, cento deputati hanno espresso il proprio voto contrario al Patto». E poi ancora, dice: «con questa campagna abbiamo contrastato in primis le false narrazioni secondo le quali, attraverso il Patto, si sta costruendo l’Europa della solidarietà, ma è una solidarietà finta, flessibile, proprio perché paesi autoritari come l’Ungheria possono rifiutarsi, pagando, di accogliere i richiedenti asilo. La vita di una persona vale 20000 euro, in questo modo, secondo l’Europa del Patto», conclude.

Il cono d’ombra Ma tornando al piano locale, sono stati i servizi di accoglienza smantellati, il rapporto tra l’accoglienza diffusa nelle aree interne e lo spopolamento dei piccoli comuni, il diritto alla casa e agli spazi urbani, e l’ossessione per la sicurezza delle giunte locali sovraniste, i diversi temi toccati nei quattro incontri aquilani della Road Map, e a cui una pluralità di attivisti e attiviste, ma anche di semplici cittadini, hanno immaginato risposte alle politiche del cono d’ombra, quelle che relegano ai margini le persone, nascondendole alla vista. Sono questi i tratti distintivi che caratterizzano il governo del territorio aquilano rispetto alle persone migranti, e sono le stesse caratteristiche che si riscontrano studiando i regolamenti del Patto migrazioni e asilo; entrambi, il piano locale, e quello europeo, hanno come obiettivi quelli di nascondere alla vista le persone migranti, occultandone la relazione con l’esterno.

Lo spiega bene questo meccanismo Carola Continenza, operatrice di Arci Solidarietà: «di fronte alla volontà di allontanare le persone migranti dalla società, dovremmo rispondere aprendo i centri di accoglienza, rendendoli accessibili a tutti, per limitare le situazioni di criticità. Sarebbe necessario de-istituzionalizzare il sistema di accoglienza». E, a partire da questa apertura, continua: «occorre offrire una contro narrazione, occorre promuovere l’interazione delle persone migranti con il resto della società, restituendo centralità alle istituzioni scolastiche, a quelle sportive e a quelle municipali. Costruiamo dei centri di attivazione sociale, come avviene già nei piccoli paesi di questa provincia, dove convivono felicemente, in alcuni casi, 300 abitanti e 15 nazionalità», conclude.

La città dell’esclusione Di fronte a quella che viene percepita-per dirla con Ben Siaka-come una doppia assenza (straniero in Italia e nel proprio paese di origine) «i processi di innovazione sociale che considerano i migranti come neo abitanti e le sfide del neo popolamento, sono processi che possono contribuire a cambiare in meglio le comunità», dice Annarita Silvestri. A farle eco è la ricercatrice Salima Cure, che invita a considerare le prospettive di genere e di classe nel disegnare le nuove città, con attenzione alla interculturalità, rovesciando il paradigma dell’ossessione per la sicurezza. «Nel tempo in cui l’Aquila è stata designata ad essere capitale italiana della cultura, riconsideriamo la città e il diritto di tutti e tutte ad abitarla, come essa ci attraversa, come la viviamo, facendone emergere le contraddizioni», afferma Cure.

«Occorre stabilire come ridiventare proprietari delle città a fronte delle politiche di esclusione», dice Teresa Menchetti, responsabile Europa del Forum. «Questo percorso della Road Map è nato un anno e mezzo fa per allargare lo sguardo dall’Italia all’Europa, e viceversa». E ancora: «il piano europeo sembra un piano lontanissimo, ma non lo è», aggiunge Menchetti: «siamo felici che in queste settimane il percorso aquilano si è intrecciato con quello del Forum, un tracciato locale di solidarietà che si è intrecciato con quello nazionale». Nel costruire i germogli di una nuova resistenza.

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