Le mille vite di Djiba

Djiba ha 25 anni, è nato in Guinea Conacry nel dicembre del 1998, ed è arrivato in Italia, a Catania, in Sicilia, quando era minorenne. Giba è seduto sui divanetti nella sede della rivista Scomodo, «un mensile cartaceo e insieme un prodotto editoriale di approfondimento che rappresenta uno spazio di espressione per centinaia di redattori, artisti, creativi e scrittori Under 30», si legge nella presentazione. Siamo all’interno di “Spin Time Labs” che, «oltre alla sua natura di stabile abitativo, si configura anche come un modello di welfare integrato multiservizio e polo culturale, che può aprire scenari di avanguardia per le politiche pubbliche della rigenerazione urbana e dell’innovazione sociale», sostiene una ricerca dell’università Milano Bicocca. E, in effetti, appena si entra all’interno del palazzo occupato di Via Santa Croce di Gerusalemme, si ha l’immediata percezione di questa ricchezza.

È la stessa sensazione di ricchezza che ci è stata trasmessa quando abbiamo incontrato Djijba che a Roma insegna breakdance, afrodance e amapiano, un ballo sudafricano che viene definito il “battito del cuore dei giovani”. E che dopo aver incontrato il regista Cosimo Gomez, che considera suo mentore, sta progettando di girare il suo primo cortometraggio d’azione, il suo cinematografico preferito. Già perché Giba nutre e coltiva due talenti, quello per il ballo, e quello per il videomaking. E un grande sogno: diventare un videomaker di successo e portare così le sue conoscenze acquisite in Italia, un giorno, nel suo Paese d’origine, la Guinea Conacry, creando una scuola di formazione.

«Intanto, potete vedere in rete uno dei video musicali che ho realizzato, quello che ha come protagonista il mio amico musicista Silva Babadouk». Racconta Djijba: «oggi nonostante tutte le difficoltà di vita che ho avuto, ringrazio Dio perché ho ancora dei sogni. La mia vita non è stata semplice, da minore straniero solo non accompagnato, in Europa. Eppure ho incontrato molta gente che mi ha aiutato, sia a Gela, nel centro di accoglienza dove ho trovato degli ottimi operatori, sia a Roma. Ancora oggi le opportunità non mi mancano. Sono stato contattato negli ultimi mesi da diverse aziende, di vari settori, che mi hanno offerto un contratto, ma non possono assumermi, perché aspetto da un anno che mi diano l’appuntamento dalla commissione territoriale e dalla questura per poter convertire il mio permesso di soggiorno in motivi di lavoro, almeno per avere il cedolino». Anche lui, dunque, vive la così detta precarietà del soggiorno, aspetta di ricevere un titolo a restare che non arriva mai. Continua Giba, raccontando il viaggio nel deserto dal suo paese di origine, i passaggi per l’Algeria, il Marocco, la dura detenzione in Libia. Non ha vergogna a raccontare le torture subite, le violenze dei clan locali che si arricchiscono anche con i finanziamenti dei vari governi italiani.

E l’Italia? Con l’osservatorio The Big Wall, il grande muro, ActionAid monitora la spesa esterna del nostro paese. Dal 2015 ha speso 1,3 miliardi di euro in politica ed esternalizzazione, in parte minima finanziando il bilancio europeo e prevalentemente attraverso strumenti ad hoc: il Fondo Africa, poi diventato Fondo migrazioni, e il Fondo Premialità per le politiche di rimpatrio. E poi c’è la cosiddetta Cooperazione bilaterale di polizia, con risorse del Viminale, e il Decreto missioni internazionali. Il 44 per cento del totale – 567 milioni – è destinato al controllo dei Confini, l’1,2 per cento, 15 milioni, alle vie legali. «Una sproporzione gigantesca: perché per finanziare i progetti sulle vie legali serve il consenso politico per rendere questi canali agibili. E poca volontà di far entrare i migranti legalmente si traduce in scarsi finanziamenti»

“SGUARDI MIGRANTI – storie di protezione speciale” fa parte della campagna #Paradossiallitaliana, un progetto sostenuto dalla Fondazione Migrantes con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Cattolica e con il contributo dell’ Otto per Mille Valdese.

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