La cultura di Faisal

«Lavoro al parco archeologico del Colosseo, che comprende sia aree e monumenti di competenza statale, sia che fanno parte del patrimonio di Roma Capitale. Per intenderci, oltre al Colosseo, tra gli altri, la zona del Circo Massimo, i Fori Imperiali, l’Arco di Costantino, la Colonna Traiana, ed è ivi compreso anche il ricchissimo patrimonio ecclesiastico costituito dalle chiese che si affacciano su via dei Fori Imperiali e lungo il Palatino; tutto questo fa parte del parco, e il mio lavoro consiste nel fornire ogni forma di assistenza ai turisti che lo visitano», spiega Faisal, un distinto signore di nazionalità pachistana che incontriamo nei pressi della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.

«È un lavoro molto interessante, mi stimola, mi dà tante soddisfazioni, e ho imparato molto qui, lavorando nel cuore della cultura antica romana», conferma l’uomo che è in Italia da qualche anno, dopo aver vissuto sette anni in Svezia, e di una conserva una profonda nostalgia, anche dettata dal modo in cui è stato deportato ed espulso dal paese scandinavo. La sua storia è stata raccontata anche dalla tv svedese perché è incredibile nel mostrare, in tutto il suo essere grottesche, le politiche degli stati europei in materia di migrazioni. Ma facciamo un passo indietro. È il 2012, Faisal Hameed, nato a Fulan, in Pakistan, vive e lavora felicemente in Svezia. Il Governo, però, dato che sono scaduti i termini del suo soggiorno, gli manda una lettera di espulsione, che però non lui riceve, perché è stata inviata all’indirizzo sbagliato, come dimostrerà poi l’uomo in tribunale, assistito dal suo avvocato, Per Gisslén.

Una prova che però non gli eviterà l’espulsione, cinque anni dopo. Quando nel frattempo Faisal aveva ricevuto dall’Agenzia svedese per l’immigrazione il permesso di soggiorno temporaneo e aveva continuato a studiare, lavorare e pagare le tasse, “addirittura”, nel 2016 aveva ottenuto un lavoro a tempo indeterminato e così aveva fatto domanda per un permesso di lavoro. È allora che Faisal ha scoperto che dato che non aveva lasciato il paese quando avrebbe dovuto farlo nel 2012, gli era preclusa la possibilità di restare in Svezia.

Così qualche anno dopo, Faisal, decide di raggiungere l’Italia. Mentre beviamo un succo di frutta al bar, Faisal ci racconta delle sue molteplici esperienze di lavoro in Italia, belle e brutte.
Ricorda con piacere tutte le scuole e le classi in cui ha insegnato inglese, lingua di cui possiede una laurea conseguita in Svezia; ma anche tutte le associazioni in cui l’inglese l’ha insegnato come volontario ad altre persone migranti. Meno piacevoli sono i ricordi di alcune esperienze di lavoro che lo hanno lasciato deluso, ma Faisal è una persona di profonda cultura e intelligenza, parla diverse lingue ed è riuscito a riscattarsi anche nel nostro paese, che il riscatto non lo regala quasi mai.

Oggi è un uomo felice del suo lavoro, ma con tanta nostalgia degli amici lasciati in Svezia. «Erano come una famiglia adottiva per me, dato che la mia famiglia vera vive in un altro paese dove non posso tornare», continua: «credo, parafrasando il poeta Rumi, che l’amore sia il ponte tra te e tutto il resto. E l’amore che nutro per i miei affetti, in generale, per molte persone, per me è tutto».  E poi conclude così: «Oggi, però, quando cammino per lavoro sui fori imperiali, mi sento però in parte fortunato, dopo le ingiustizie che ho subito».

“SGUARDI MIGRANTI – storie di protezione speciale” fa parte della campagna #Paradossiallitaliana, un progetto sostenuto dalla Fondazione Migrantes con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Cattolica e con il contributo dell’ Otto per Mille Valdese.

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