Dietro la retorica dell’allarme sicurezza a l’Aquila si nascondono le emergenze sociali

Un episodio di cronaca accaduto due giorni in cui il “protagonista” è un minore straniero diventa l’ennesima occasione per mettere in discussione l’esistenza delle comunità di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. Che però, ovviamente, non c’entrano nulla, dato che quel minorenne autore del reato, non viveva in una comunità.

Accade a l’Aquila, dove da tempo è in atto una violenza campagna di criminalizzazione dei cittadini stranieri, specialmente minori, che vivono in città. A spiegare i fatti è la Rete delle strutture educative per minori dell’Aquila, che in una nota diffusa ieri chiarisce che «i nostri professionisti sono in prima linea ad affrontare quotidianamente disagio e devianze ma anche a sostenere i ragazzi in percorsi educativi positivi e gratificanti garantendo loro occasioni di riscatto dopo tanti momenti di dolore e difficoltà».

Goffredo Juchich, che è il responsabile di una di queste comunità, porta avanti da tempo, anche sulla stampa e nei confronti delle istituzioni locali, un’azione di difesa dei cittadini stranieri e degli enti del terzo settore che si occupano di assistenza e residenzialità che – ha ricordato – «si avvalgono del lavoro di oltre 100 persone in città tra assistenti sociali, psicologi, educatori professionali ed operatori  svolto spesso in condizioni difficili e che merita il rispetto  delle forze politiche e degli amministratori».

Già, perché, manco a dirlo, a soffiare sul fuoco degli allarmi sulla sicurezza, a l’Aquila, ci sono in prima linea esponenti cittadini del partito oggi al governo del paese, della città e della regione Abruzzo, cioè di Fratelli d’Italia; mentre Juchich ha segnalato più volte la presenza sul territorio «di decine di giovani stranieri che non usufruiscono della rete di accoglienza e residenzialità e per i quali non c’è nessuna struttura responsabile». E, dunque, ha smentito che «ogni episodio di microcriminalità commesso da minorenni sia ascrivibile alle azioni dei minori ospiti, ma in realtà è compiuto da terzi».

A raccontare come stanno realmente le cose è Alessandro Tettamanti, un giornalista locale, ma che è anche un attivista del comitato 3.32, in prima linea nella battaglia per la ricostruzione della città dopo il terremoto che ha colpito la città il 6 aprile del 2009. Dice Tettamanti: «da circa un anno con la scusa dell’allarme sicurezza sono stati emessi numerosi provvedimenti di daspo urbano nei confronti di molti minorenni stranieri. Tali provvedimenti hanno come effetto l’allontanamento dal centro storico dei cittadini stranieri in particolare, cioè la loro espulsione dalla città vetrina». Continua il giornalista: «Mentre avviene questo spostamento in periferia, dove ci sono meno servizi e la guerra tra poveri può essere all’orizzonte, il progetto dell’amministrazione comunale è quello di installare 900 telecamere, muovendosi all’interno di una strategia repressiva». E ancora: «allo stesso tempo, esiste un sistema per cui i media stanno amplificando i fatti di cronaca e la città storica è diventata soltanto un modello di consumo, senza nessuna strategia di contrasto alla povertà educativa. L’Aquila oggi è diventata uno spazio vuoto, e manca una comunità», conclude.

Vista da qui, l’impressione è che la classe politica locale soffi sul fuoco dell’allarme sicurezza per nascondere le altre emergenze sociali che oggi vive la città abruzzese. Per dirne una: la casa. CASA! è anche l’acronimo di “Come Abitare senza Abitazioni?”, il nome di un gruppo informale di persone provenienti da soggetti ed esperienze diverse, che si sono costituite l’anno scorso con un obiettivo chiaro: chiedere alle istituzioni serie politiche abitative per la comunità che, a quasi 15 anni dal terremoto, «si ritrova in una situazione paradossale quanto incredibile: vivere un’emergenza abitativa nonostante la città sia stracolma di case vuote», fanno notare gli attivisti: «ci sono migliaia di appartamenti abitabili ma inaccessibili, e l’Aquila è l’unica città in Italia dove per una famiglia per i redditi bassi è impossibile ottenere un alloggio pubblico». E ancora: «a questo deve aggiungersi che gli ultimi dati (non ufficiali) relativi alle aree Case ci dicono che circa un quinto dei 5.700 alloggi totali è inagibile, ma che più del 40% degli appartamenti è agibile e non abitato».

E poi, con l’inverno alle porte, con il freddo torna anche l’emergenza legata a chi è costretto a dormire fuori. «Chiediamo da anni l’apertura di una struttura per ricoveri temporanei per i senza dimora, senza successo. Per quanto riguarda i migranti senza accoglienza, poi, non ne parliamo. Non ci sono posti in strutture ormai da mesi», fa notare Mattia Fonzi, anche lui giornalista ed attivista. Ed è così che a l’Aquila si nasconde sotto il tappeto dell’allarme sicurezza la polvere delle vere emergenze sociali.

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