Accoglienza: facciamo chiarezza

Nel “dossier di Ferragosto” pubblicato dal ministero dell’interno, si rileva che i migranti sbarcati in Italia da gennaio al 31 luglio di quest’anno sono stati 89.158 e, tra questi, poco più di 10000 sono i minori. Un dato che è esattamente il doppio dell’anno precedente nello stesso periodo di tempo.  Per ciò che riguarda la provenienza, il Viminale ha indicato nel dossier che la metà di queste persone proviene dalla Libia e che le nazionalità prevalenti dichiarate al momento dello sbarco sono: Guinea, Egitto, Tunisia, Costa D’Avorio. Inoltre, il ministero fa il punto sulle richieste d’asilo, che nello stesso periodo considerato sono state 72.460, mentre le domande già esaminate sono state circa la metà. Allo stesso modo, si segnala nel dossier che i permessi di soggiorno rilasciati per motivi diversi dalla protezione internazionale, sono stati poco più di mille. La stessa cifra è rappresentata dai canali di ingresso regolari: 1082 persone, infatti, sono entrate in Italia nell’ultimo anno provenienti da paesi come Libano, Pakistan, Libia, attraverso i corridoi umanitari, le evacuazioni e i reinsediamenti.

Un capitolo a parte, poi, il ministero dell’interno lo dedica all’ampliamento del “sistema di accoglienza dopo la dichiarazione dello stato di emergenza”, rilevando che sono aumentati in maniera percentuale i posti nei centri governativi di accoglienza, nei centri di accoglienza straordinari per adulti e, dulcis in fondo, nei centri per minori stranieri non accompagnati. Riferendo di un aumento esponenziale, ben il 72 per cento dei posti in più nei Cas per minori. Così negli hotspot, che sono centri di identificazione e non di accoglienza, i posti sono in continuo allestimento. Sono 5000, e circa 700 sono quelli per minori stranieri non accompagnati.

Un lungo filo nero. Ad un primo confronto tra questi dati aggregati sugli arrivi, e i posti messi a disposizione nel sistema di accoglienza straordinario, si rileva l’esistenza di un identico filo nero che ha visto ugualmente attivi i ministri degli interni democratici e quelli sovranisti negli ultimi anni: lo smantellamento del sistema di accoglienza. Come non ricordare, infatti, alcune norme a rischio incostituzionalità previste dal pacchetto di misure Minniti-Orlando. Poi seguite dagli articoli di legge liberticidi del decreto sicurezza. Anche se dal punto di vista giuridico-formale non si può dire che ci sia una continuità tra i decreti Minniti-Orlando e il provvedimento approvato dal primo governo Conte, c’è di certo una continuità in termini di progetto politico, nel senso che i decreti Minniti Orlando hanno aperto la strada alla recrudescenza di Salvini e poi di Piantedosi. C’è un aspetto, in particolare, che ci parla di questa continuità politica, ed è proprio quello che riguarda gli hotspot.

Nei decreti Minniti-Orlando i centri hotspot furono istituzionalizzati, con i decreti Salvini fu previsto il trattenimento dei richiedenti asilo fino a 30 giorni, oggi, invece, con il governo Meloni, gli hotspot sono considerati i nuovi centri di accoglienza straordinari. È questo il modello su cui il Governo Meloni sta puntando, con l’intenzione di ampliarlo. Lo racconta l’ordinanza della Protezione civile emanata il 16 aprile scorso che istituisce ufficialmente lo stato di emergenza per i migranti e la nomina a commissario straordinario del prefetto Valerio Valenti. È un approccio di governo delle migrazioni basato sui trattenimenti illegittimi, ingiuste detenzioni e successive espulsioni quello su cui il governo Meloni sta puntando tutte le sue fiches. È il modello trattenere ed espellere, quell’approccio che i giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno già bocciato, accogliendo il ricorso degli avvocati di Asgi, con una sentenza di condanna che risale a qualche mese fa. A soccombere nel giudizio della Cedu in quel caso è stato il governo italiano del 2017, di centro-sinistra e guidato da Paolo Gentiloni. Per le prassi adottate nei confronti di quattro persone di origine tunisina che erano state trattenute per dieci giorni nell’hotspot dell’isola di Lampedusa e che poi da qui erano state fatte rimpatriare in tutta fretta dall’aeroporto di Palermo il 26 ottobre del 2017, che il governo democratico era stato condannato. È un passato che oggi ritorna, a vedere le immagini di centinaia di minori trattenuti nell’hotspot di Lampedusa e costretti in una condizione di isolamento sociale e di privazione della libertà personale, a vivere in spazi condivisi con cittadini adulti, in condizioni di sovraffollamento della struttura e di servizi igienici insalubri, senza ricevere assistenza legale. E questa la chiamano accoglienza.

Tornando ai dati del ministero dell’interno, sono cifre aggregate, dati parziali, dunque non utili del tutto a fotografare il numero delle persone che ogni anno avrebbero diritto all’accoglienza, e il modo in cui ne avrebbero diritto, soprattutto, per esempio i minori e i vulnerabili. Quanto ai centri, una mappa aggiornata ed ufficiale di quelli straordinari gestiti dalle prefetture, attualmente, non esiste. Si sa soltanto che quasi il 70 per cento dei richiedenti asilo presenti oggi in Italia sono ospitati lì dentro, nei così detti Cas. La quota restante dei beneficiari viene “gestita” attraverso il sistema ordinario, gli ex Sprar, che ora si chiamano Sai, sono di competenza dei comuni, ma dipendenti dai fondi dello stesso ministero degli interni. Da parte sua, entro il 30 giugno di ogni anno il Viminale dovrebbe presentare al Parlamento la relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza al fine di “fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all’eccezionale afflusso di stranieri nel territorio nazionale”. Un appuntamento, però, che il Viminale disattende regolarmente, pubblicando le relazioni in ritardo. Gli ultimi dati disponibili sono quelli relativi al 2021.

Potenziare il sistema ordinario di accoglienza. Secondo i dati forniti dal Centro Studi del Servizio Centrale del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), il sistema ordinario che dovrebbe accogliere – oltre ai titolari di protezione internazionale, i minori stranieri non accompagnati, i richiedenti protezione internazionale e i titolari di permesso di soggiorno per protezione speciale, per cure mediche, per protezione sociale, per vittime di violenza o grave sfruttamento – nel 2021 le persone accolte nella rete Sai sono state 42.464, di cui quasi il 20 per cento sono minori stranieri non accompagnati. Complessivamente, nello stesso anno, sono stati finanziati dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (Fnpsa) 851 nuovi progetti, per un totale di 34.744 posti, di cui 27.258 destinati alle categorie ordinarie di beneficiari, e 6.683 posti per minori e vulnerabili. Nel 2021 gli enti locali titolari di progetto risultano essere in totale 722, tra cui 634 comuni. E, tra questi, il 42 per cento dei comuni titolari di progetto aveva meno di 5000 abitanti. Soltanto il 30 per cento dei posti finanziati ricadeva in una area comunale che aveva più di 100000 abitanti, il resto dei beneficiari degli Sprar li troviamo nei comuni e province più piccole.

In tutti i casi, se consideriamo che, secondo i dati del ministero dell’interno, i posti previsti nello stesso periodo dal sistema di accoglienza italiano era pari a quasi 100000 posti, si rileva, confrontandoli con i dati degli accolti negli ex Sprar, che più del 60 per cento dei richiedenti asilo sono stati ospitati nel sistema straordinario, ciò significa che in Italia il ministero dell’interno ha favorito l’apertura di quei centri di accoglienza straordinari, i Cas, che invece che erano stati concepiti, come recita il Decreto Legislativo 142/2015 che li ha istituiti, soltanto come strutture temporanee da aprire nel caso in cui si verifichino “arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti”.  E, dall’altra parte, ciò significa che l’Associazione dei Comuni Italiani, l’Anci, abbia fatto ben poco, negli ultimi anni, per incentivare l’adesione dei suoi sindaci al sistema ordinario di accoglienza, ora denominato Sai/ex Sprar. E, dunque, ciò a cui assistiamo in queste ore, con la “rivolta dei sindaci” suonano come le lacrime di coccodrillo di chi avrebbe potuto in parte scongiurare la così detta emergenza, che però non c’è mai stata, e tuttora non c’è.

Serve programmazione, innanzitutto. Ed è ancora una volta la comparazione tra i due sistemi, ordinario e straordinario, a mostrarlo. Come non pensare, infatti, al fatto che all’interno dei centri ordinari ogni progetto di accoglienza della rete Sai preveda l’impiego di un’équipe multidisciplinare formata da diverse figure professionali: assistenti sociali, educatori professionali, mediatori, psicologi, operatori legali. Nel solo 2021 sono state complessivamente quasi 20000 le professionalità impiegate, con una successiva ricaduta positiva in termini di erogazione di welfare sui territori coinvolti. E, tuttavia, se si guarda ai dati più recenti che risalgono al marzo del 2023, un segnale di speranza nella ripresa del sistema ordinario lo si potrebbe cogliere. Sono in aumento, infatti, i progetti finanziati, 934. Così come gli enti locali titolari dei progetti, che sono 793. Anche i posti messi a disposizione sono cresciuti: 43.786.

Ma, anche qui, se però si rapportano queste cifre con i dati sulle richieste d’asilo presentate quest’anno – e di cui si diceva all’inizio – rimane un rapporto fortemente sbilanciato a favore del sistema di accoglienza straordinario. È quello, per intenderci, dove è accaduto in molti casi, dal Nord al Sud del Paese, che quasi 100 persone abbiano vissuto in strutture con soli otto bagni, dove i beneficiari vivevano in sei all’interno di una stessa stanza, accolti in comuni e territori dove gli ospiti di giorno finivano nelle maglie dello sfruttamento lavorativo e sessuale senza il sostegno di alcun operatore, mentre di notte tornavano a dormire in strutture sovraffollate in cui il riscaldamento d’inverno, e a volte anche la corrente elettrica d’estate, erano un miraggio.

Serve trasparenza, Ad ogni modo, per programmare una degna accoglienza insieme agli enti locali coinvolti, agli enti di tutela e agli operatori che lavorano sui territori, serve, in primo luogo, trasparenza. E, dunque, torniamo a chiedere perché il Viminale non ha ancora presentato al Parlamento la relazione con i dati sull’accoglienza del 2022, e perché per conoscere nel dettaglio quali siano le strutture, i posti disponibili, le presenze, i prezzi per l’erogazione dei singoli servizi e dei gestori che li erogano, centro per centro, dobbiamo apprenderlo da una piattaforma opendata aggiornata una volta l’anno che si chiama Centri d’Italia e che è stata realizzata dalla società civile, cioè da  Openpolis insieme alla ong ActionAid?  È grazie alle loro ricerche che abbiamo appreso che meno di un comune su quattro, in Italia, cioè il 23 percento, è interessato dall’insediamento di un centro di accoglienza, sia esso straordinario o afferente al sistema ordinario. E poi, un altro dato significativo svelato dai ricercatori, che così smentisce non solo la retorica dell’invasione, ma anche quella dell’emergenza tanto cara alle forze politiche di ogni sorta, è che «se analizziamo la differenza tra i posti potenzialmente disponibili nei centri (capienza) e le persone ospitate (presenze) al 30 giugno di ogni anno, dal 2018 al 2021, notiamo che i posti liberi variano da 23mila a 36mila unità». Ciò significa, dunque, che il sistema d’accoglienza, in Italia non è al collasso, tutt’altro. Vi sono migliaia di posti liberi. E, come ha fotografato più di recente un’inchiesta di Altreconomia, infatti, dal luglio a novembre del 2022 vi è stata una ulteriore diminuzione dei posti, sia nei centri di accoglienza straordinari, Cas, che in quelli ordinari, Sai. Per questi ultimi, in particolare, Altreconomia ha rilevato uno scarto tra i posti finanziati e quelli effettivamente attivati nel sistema. Per esempio, alla data del 31 ottobre 2022, è stato notato che, a fronte di 44.591 posti finanziati, erano 35.291 quelli attivi. E anche i posti disponibili non erano riempiti del tutto; infatti erano 1.600 i posti vuoti, in un sistema come quello ordinario che a regime dovrebbe risultare sempre saturo. Di più. L’ultima fotografia scattata dall’inchiesta della rivista, e che risale a qualche giorno fa, ha rivelato che «al 15 agosto di quest’anno le persone in accoglienza in Italia sono 132.796: 95.436 nei Centri di accoglienza straordinaria che fanno capo alle prefetture, 34.761 nei centri diffusi del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) e 2.599 negli hotspot».

Eppure, dunque, nonostante i posti nelle strutture ci siano, in questi ultimi cinque anni gli operatori della rete del Forum si sono trovati spesso di fronte alla necessità di presentare ricorsi davanti ai tribunali amministrativi regionali, rilevando tutta una serie di ostacoli che venivano frapposti dalle questure e dalle prefetture verso i richiedenti asilo che chiedevano un posto in accoglienza. Uomini ed anche donne che hanno aspettato, in alcuni casi, settimane ed anche mesi prima di ottenerlo. Nel frattempo, vivendo in strada all’addiaccio di notte, e di giorno sostando in attesa di uno spiraglio davanti agli uffici di polizia, con questi ultimi che, in molti casi, come abbiamo potuto constatare dal monitoraggio svolto dai nostri operatori, non inoltravano le richieste di accoglienza alla rete Sai in via prioritaria, come prescrive la legge. Dunque, da parte nostra, sentiamo la necessità di pretendere dalle istituzioni chiarezza sul sistema di accoglienza straordinario per richiedenti asilo e rifugiati.  Un sistema che, come abbiamo constatato, sta favorendo gli interessi di gestori molto opachi a scapito delle cooperative trasparenti, tagliando i servizi di integrazione e i corsi di lingua, l’assistenza legale e quella sociale, tenendo i posti vuoti nei centri ordinari che funzionano meglio e, allo stesso tempo, creando l’emergenza. È l’eterna ripetizione dell’uguale e, come Forum, vogliamo contribuire a fare ordine nel dibattito. E questo è il nostro primo contributo.

Progetto sostenuto dalla Fondazione Migrantes con i fondi Otto per Mille della Chiesa Cattolica e con il contributo Otto per Mille della Chiesa Valdese.

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