Tra Bruxelles, Roma e Tunisi: quell’accordo che è solo di facciata ma viola i diritti umani

Il prossimo 23 luglio, a Roma, di domenica e nell’estate più calda di sempre, così evidentemente al riparo da proteste e dai giornalisti, si terrà la “conferenza internazionale sulla migrazione”, come ha annunciato qualche giorno fa a Tunisi la presidente del consiglio, Giorgia Meloni. L’occasione è stata, come è noto, la firma del Memorandum Understanding tra Unione Europea e Tunisia, un patto che si basa su cinque pilastri: il commercio e gli investimenti, la transizione ecologica, gli scambi tra popolazioni, e le migrazioni. E quest’ultimo è l’aspetto più controverso. Per il governo italiano e la Commissione Europea è un successo diplomatico, rappresenta «un passo importante verso l’ulteriore creazione di un vero strumento di partenariato tra Tunisia e Unione Europea per affrontare in maniera integrata i temi della crisi migratoria e dello sviluppo delle due sponde del Mediterraneo». Ma per centinaia di organizzazioni non governative che in questi giorni stanno protestando, si tratta, invece, dell’ennesimo tentativo di esternalizzare la frontiera dell’Unione Europea senza curarsi dei diritti fondamentali delle persone migranti.

A pensarla così è anche una giurista esperta in migrazioni ed asilo come Francesca Napoli, che cita gli esempi delle politiche già adottate in passato (e ancora oggi) dall’Ue nei confronti di Libia e Turchia. «Questo accordo segue quella che è da tempo la strategia adottata dall’Unione Europea volta all’esternalizzazione delle frontiere comunitarie con la finalità di ostacolare il più possibile l’accesso agli Stati Membri e l’esercizio del diritto di asilo». Dice Napoli: «Si tratta dell’ennesimo accordo di facciata in cui l’Europa svende i suoi valori fondanti e calpesta i diritti umani per cercare di arginare i flussi migratori, accettando così implicitamente di sottostare ai potenziali ricatti da parte di Tunisi che potrà aprire e chiudere il rubinetto delle migrazioni a suo piacimento per alzare la posta delle sue richieste, seguendo l’esempio della Libia e della Turchia. Stavolta inoltre è scritto nero su bianco nel testo del Memorandum: la Tunisia non diventerà il campo profughi dell’Europa né il suo poliziotto, limitandosi a controllare solo i propri confini. Più chiaro di così».

Follow the money È un fatto inquietante che per gestire i flussi migratori l’Europa consegna al presidente tunisino, Kaïs Saïed, 150 milioni di euro, ufficialmente finalizzati alla ricerca e al salvataggio dei migranti, soldi però destinati alla fornitura degli strumenti di controllo delle frontiere, alla formazione del personale addetto a quel ruolo, e per misure e provvedimenti volti a favorire il rimpatrio dei cittadini tunisini presenti in maniera non regolare in Europa. Come ha fatto notare, tra gli altri, l’ex senatore Luigi Manconi, è una formula che richiama puntualmente quella contenuta negli accordi tra Italia e Libia, impiegata per giustificare il finanziamento della guardia costiera e i centri di detenzione di quel paese. Tra l’altro, spiega invece Andreina De Leo, ricercatrice all’università di Maastricht che studia proprio le caratteristiche alla base dei fondi previsti per questi tipi di accordi tra gli stati: «Molte di queste risorse erano state già stanziate. E poi non ci sono impegni precisi come nel caso, ad esempio, dell’accordo Ue-Turchia». Continua De Leo: «in questo caso, invece, l’unico impegno da parte della Tunisia è di riammettere soltanto i propri cittadini espulsi dall’UE, un obbligo già previsto dal diritto internazionale. Questo è positivo, viste le notizie dei respingimenti collettivi di migranti subshariani nel deserto, ma rispetto ai grandi intenti di Meloni e Piantedosi di voler negoziare un accordo per rimandare i migranti in Tunisia è un totale fallimento». Per questo, dice ancora: «questo memorandum è molto vago. Di nuovo vi è molto poco, al di là dei proclami politici, sembra più l’annuncio di una vittoria simbolica, da parte dell’Ue, che altro». Infine, la ricercatrice avverte: «quello che è certo è che occorrerà, da parte dei giuristi e della società civile, monitorare le prassi che saranno adottate in tema di rimpatri e richieste d’asilo dei cittadini tunisini, tanti, troppi, a cui non viene concesso questo diritto».  

In effetti, quanto ai soldi già destinati a questo scopo, è un altro fatto che già nell’agosto del 2020, rispondendo a una richiesta di accesso agli atti degli avvocati dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, Asgi, e di Sans Frontières e Ftdes, il Forum tunisino per i diritti economici e sociali, il ministero degli Interni tunisino aveva consegnato un documento che conteneva le cifre che sarebbero state stanziate da parte italiana per l’acquisto di  «110 veicoli 4 x 4, un radar marittimo da 25 kw, e un camion, venti motori marittimi potenza 300 e venticinque motori marittimi potenza 150 e per l’acquisto e il mantenimento di imbarcazioni rapide da 35 metri», avevano riferito da Tunisi,  senza specificare, però, l’origine del finanziamento e neppure l’anno di riferimento. A conti fatti, si trattava di una donazione pari a una trentina di milioni di dinari tunisini, pari a quasi 10 milioni di euro. Soldi che, secondo quanto ha spiegato il ministero degli Interni di Tunisi, sarebbero serviti per il rafforzamento dei sistemi di controllo delle frontiere, per prevenire la partenza dei migranti ed intercettare le navi nelle acque territoriali tunisine. Ed è così che seguendo il flusso dei soldi si trovano le tracce di respingimenti collettivi e rimpatri illegittimi nei confronti dei cittadini tunisini. 

Violazioni Daniela Movileanu è una ricercatrice esperta in migrazioni della London School of Economics and Politics e fa notare l’enfasi posta dai politici europei sulle eventuali connessioni esistenti tra migrazioni e sviluppo. «Un presupposto fallace fondato sull’idea che chi transita verso l’Europa lo faccia soltanto per ragioni economiche», dice Movileanu. E poi aggiunge: «un’ipotesi, questa, che serve a non concedere quasi o nessuna forma di protezione ai cittadini tunisini che chiedono asilo in Europa». Infatti – continua la ricercatrice: «se guardiamo ai dati Eurostat, vediamo come nel 2022 soltanto a 800 persone è stata concessa in tutta Europa una qualche forma di protezione. E, tra queste, oltre la metà sono state concesse da commissioni territoriali o da tribunali italiani». Secondo Movileanu, esiste «una ipocrisia di fondo sull’efficacia di queste politiche. Dal punto di vista della ricerca non vi è certezza su questi accordi, sul fatto, ad esempio, che servano a combattere i traffici umani, la verità è tutta una altra, anzi». Conclude: «è un dato dimostrato che più con queste politiche si restringono le maglie dei flussi, più aumentano le rotte pericolose e maggiori sono le probabilità dei naufragi. Spiace dover constatare, infine, che nessun ruolo è concesso nell’adozione di questi memorandum né al parlamento europeo, né tantomeno ai singoli organi legislativi nazionali. E in questo si sconta una vera e propria assenza di democrazia».  

Parole che fanno il paio con quelle di una dura presa di posizione delle diverse organizzazioni componenti il Tavolo Asilo nazionale, tra cui vi è il Forum, e che è arrivata proprio in queste ore. Una dura nota in cui si accusa le istituzioni europee di finanziare un regime che ha cancellato le garanzie democratiche al proprio interno, senza porre alcuna concreta condizionalità sul rispetto dei diritti umani fondamentali, «in un paese in cui il presidente ha sciolto il Parlamento e scatenato una vera e propria caccia allo straniero nei confronti dei migranti sub-sahariani, causando la morte di molti di loro, inclusi donne e bambini, e violando quel diritto internazionale che lo stesso Memorandum richiama».

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