Il valore sociale dell’accoglienza in famiglia

“Se l’innovazione sociale non incontra l’innovazione politica rischiamo di rimanere in uno stato di sperimentazione perpetua”

Durante “A casa lontano da casa” sono stati presentati i risultati di “L’accoglienza in famiglia come percorso di integrazione” progetto promosso da Refugees Welcome che rappresenta il tentativo di consolidare e modellizzare l’esperienza di accoglienza in famiglia di concerto con cinque Comuni italiani (Roma, Palermo, Bari, Ravenna, Macerata).
Nel corso dei tre anni di progetto il 90% dei rifugiati accolti ha raggiunto la piena autonomia, e l’associazione ha formato – con la propria metodologia – 140 persone tra operatori e attivisti. Le famiglie iscritte nei territori di progetto e pronte a farsi carico dell’accoglienza di un rifugiato sono state 754. L’accoglienza in famiglia non ha ancora sviluppato un modello di valutazione che permetta un pieno apprezzamento dei suoi effetti sulle diverse tipologie di stakeholder coinvolti. In quest’ottica Refugees Welcome Italia, attraverso un confronto sistematico con l’Ente Valutatore Università di Tor Vergata, ha sviluppato degli strumenti per condurre la valutazione dell’impatto sociale del progetto.  

Di questo ha parlato Luigi Corvo, ricercatore  presso l’Università Tor Vergata di Roma e coordinatore scientifico del progetto durante il suo intervento “L’impatto dell’accoglienza in famiglia: una valutazione multidimensionale”. Di seguito riportiamo una parte del suo articolato intervento.

“Per spiegare il lavoro che è stato fatto nella stesura di questo dossier devo partire da un nodo per noi cruciale, un dato capace di attivare importanti riflessioni e su cui si deve assolutamente ragionare soprattutto per ciò che riguarda la sfera delle assunzioni di decisioni politiche, ossia la valutazione di impatto sociale: ogni euro investito in questo progetto genera mediamente tre euro in termini di valore sociale.
Assumere questo giustificativo per alcune scelte politiche consentirebbe di allocare le risorse in maniera non lineare rispetto alla spesa storica. Per capire quanto valore aggiunto in termini di valore sociale avesse generato il progetto abbiamo focalizzato la nostra attenzione su due livelli di Sroi (Social Return on Investment – Ritorno Sociale sull’Investimento): non solo quello di fine progetto ma anche quello previsionale. Il criterio dell’impatto sociale ha costituito quindi un vero e proprio driver di ispirazione degli obiettivi progettuali.

Per riassumere la metodologia usata: abbiamo raggruppato i nostri stakeholder in 4 cluster, famiglie, rifugiati, pubblica amministrazione e comunità e società. Con loro, dopo un attento lavoro preliminare focalizzato sulle aspettative, abbiamo analizzato gli effettivi raggiungimenti degli obiettivi preposti e l’effettiva generazione di moltiplicatori di valore sociale.
Cosa esce fuori? Circa il quaranta per cento del valore sociale prodotto da questo progetto deriva da, o meglio è rivolto, alle famiglie che acquisiscono quindi un duplice valore: creatori di valore e beneficiari del valore stesso.
Il restante sessanta per cento del valore sociale è, più o meno, equamente ripartito fra gli altri tre cluster: rifugiati, pubblica amministrazione e comunità/società.

Altro dato fondamentale è rappresentato dal ruolo della pubblica amministrazione che finalmente riesce ad uscire da quella dicotomia, tutta italiana, in cui una certa narrazione l’aveva posta dovendo decidere se dare prevalenza ai bisogni le istanze dei rifugiati e dei migranti o meno, senza possibilità intermedie. Un aspetto qualitativo molto importante di questo progetto e che la pubblica amministrazione diventa soggetto abilitatore, in grado di attivare delle relazioni collaborative fra gli altri attori e che innesca i meccanismi di creazione di valore aggiunto sociale.
Se questo tipo di approccio fosse inserito in un orizzonte programmatico e politico di più lunga gittata e di più ampio respiro costituirebbe la base della costruzione di un programma di accoglienza basato anche sull’amministrazione condivisa.
Insito in questo progetto c’è una proposta che tenta di coniugare insieme innovazione sociale e convenienza dell’innovazione sociale, questo è un punto chiave.
Quello che vogliamo provare a dire con questa valutazione è che nel momento in cui l’impatto sociale riesce a determinare elementi di misurabilità, l’innovazione sociale può affrontare la sfida della convenienza, cioè di offrire ai decisori – che siano investitori o policy maker – un set di conoscenze più ampio rispetto a quello che possedeva un minuto prima e in base a questo set di conoscenze più ampio chiedergli due cose: allargare lo spettro delle evidenze che prendiamo in considerazione per assumere decisioni, e prendere determinazioni che riescano a direzionare lo sviluppo di una città tenendo conto, non soltanto dello sviluppo economico ma anche di quei segnali che misurano il valore dal punto di vista sociale.

Innovazione sociale e impatto sociale sono due elementi chiave di questo lavoro che, se non incrociano l’innovazione politica, rischiano di rimanere ad uno stadio di sperimentazione perpetua e dalla sperimentazione perpetua noi oggi abbiamo l’ estremo bisogno di uscire per procedere verso un orizzonte politico e programmatico.

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