Quale futuro per i flussi migratori?

Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, l’OIM, sono 281 milioni le persone sulla Terra che vivono lontano dal proprio Paese di residenza. Cifre che comprendono quelle dei migranti forzati, che hanno raggiunto, secondo l’UNHCR, gli 89, 3 milioni. Negli ultimi mesi, fin dal maggio 2022 gli sfollati hanno superato i 100 milioni in conseguenza della guerra scoppiata in Ucraina il 24 febbraio.

A settembre di quest’anno se ne contavano più di 14 milioni. Tuttavia, l’accoglienza più o meno degna offerta da tutti gli stati europei ai profughi ucraini, ha fatto da contraltare con quello che invece non è avvenuto negli ultimi anni per le persone straniere di altre nazionalità, spesso in fuga da conflitti altrettanto sanguinosi. Infatti, come è noto, sono proprio i Paesi del Nord del Mondo, quelli cioè con le economie più sviluppate, «ad aver costruito una fitta schiera di barriere terrestri, sbarramenti marittimi e muri artificiali, eretti a protezione dei quasi 1,4 miliardi di persone che lì vivono, il 17,3% della popolazione planetaria».

Sui trattamenti differenziali, invece, cioè sul perché ai profughi ucraini per i quali il 4 marzo 2022 l’Ue ha attivato per la prima volta la Direttiva 2001/55/Ce (che in caso di afflusso massiccio di sfollati garantisce loro una protezione temporanea) misura che in passato tuttavia è stata rifiutata a profughi siriani ed afghani, è uno dei dati di realtà su cui analisti e giuristi hanno riflettuto all’interno del Dossier Statistico Immigrazione 2022.

Presentato oggi al teatro Orione di Roma e, in contemporanea, in tutta Italia, il rapporto redatto da Idos e Università Pio V rileva tra le altre cose che, malgrado le favorevoli misure di tutela previste dalla Direttiva europea, ovvero l’abolizione del visto di ingresso, il titolo di soggiorno temporaneo, la possibilità di esercitare un lavoro, ottenere un’abitazione e accedere ad altri servizi, contenga dei tratti discriminanti rispetto al sistema europeo di governance delle migrazioni. Infatti, si legge nel dossier: «da una parte, è stata concessa ai singoli Stati Ue la facoltà di applicare la Direttiva, oltre che ai cittadini ucraini, anche ai soli apolidi e cittadini di Paesi terzi, insieme ai rispettivi familiari, che in Ucraina risiedevano o beneficiavano di protezione – internazionale o nazionale – prima del 24 febbraio 2022, lasciando in ogni caso estromessa, e quindi di fatto bloccata in Ucraina, una parte molto consistente dei circa 5 milioni di stranieri presenti nel Paese: lavoratori, studenti, richiedenti asilo e altre categorie di migranti a breve termine; dall’altra, la Direttiva consente ai beneficiari di protezione temporanea di circolare all’interno dell’Ue e di godere dell’assistenza dei Paesi membri in cui sceglieranno di vivere, il che, tra l’altro, ha offerto agli Stati membri confinanti (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Romania) la possibilità di evitare gli oneri che il Regolamento di Dublino imporrebbe loro, in quanto Paesi di primo ingresso».

E, dunque, proprio l’esperienza maturata in questi mesi ha mostrato le ampie capacità di accoglienza dei Paesi dell’Unione Europea, oltre a rivelare che esistono margini per semplificare le procedure, in primis i lacci normativi previsti dal Regolamento Dublino. Dagli esperti in materia, quindi, è stato notato che i margini ci sono perché anche gli altri profughi possano ugualmente beneficiare di un’accoglienza dignitosa e di percorsi di integrazione sociale adeguati. Soprattutto, perché in tali casi non si tratterebbe di un afflusso di massa, ma di una gestione ordinaria di persone.

Cenni sull’esperienza italiana Gianfranco Schiavone è un giurista e, tra le altre cose, fa parte del direttivo del Forum Per Cambiare L’Ordine delle Cose. In un saggio contenuto all’interno del Dossier, Schiavone ha sostenuto che la Direttiva sulla protezione temporanea non richiede che l’afflusso massiccio si verifichi sempre a seguito di un ingresso diretto di sfollati nel territorio europeo, ma anche che esso avvenga attraverso un programma di evacuazione umanitaria o di reinsediamento o programmi analoghi. Pertanto, Schiavone ha ribadito che «la Direttiva 2001/55/CE avrebbe potuto trovare plurime applicazioni nel corso della storia europea degli ultimi venti anni durante i quali purtroppo si sono verificati arrivi massicci di rifugiati». Pensiamo alla crisi siriana del 2015, ma anche alle conseguenze connesse ad altri contesti di crisi quali la Libia o l’Afghanistan.

E, tuttavia, per ciò che riguarda l’Italia, ancora il Dossier ha considerato l’accoglienza riservata agli ucraini come caratterizzata da luci e ombre. Perché l’arrivo degli sfollati dall’Ucraina ha impattato su un sistema pubblico di accoglienza già fortemente sottostimato rispetto alle necessità del Paese. Che spesso abbandona i richiedenti asilo a sé stessi per settimane o mesi in strutture fatiscenti a causa della cronica mancanza di programmazione dei posti necessari. Ed è anche ciò che è avvenuto con i profughi ucraini, dato che il numero di sfollati che hanno ricevuto una sistemazione pubblica è rimasto molto ridotto. In effetti, sono solo 13.866 le persone accolte nei due sistemi pubblici di accoglienza, i Cas e il Sai, che corrisponde al 9 per cento di tutti gli arrivati dall’Ucraina. A questa carenza istituzionale hanno supplito, in tutti i casi, le proposte presentate dalle organizzazioni del terzo settore che hanno risposto alla manifestazione di interesse pubblicate dalla Protezione Civile, le quali, in migliaia di casi, hanno riguardato l’accoglienza in famiglia. Complessivamente, sono stati 4.463 i posti offerti dai cittadini e dalle cittadine nelle loro case.

I limiti di una governance È un fattoche in Italia negli ultimi 15 anniil dibattitopoliticosi sia focalizzatoquasi esclusivamente sulle modalità da adottare per bloccare o governare gli sbarchi, lasciando spesso in sordina tutti gli altri caratteri legati ai fenomeni migratori nel suo complesso. Basti considerare i numeri esigui dell’ultima regolarizzazione per motivi di lavoro.

Il Decreto Rilancio (Dl n. 34/2020) aveva previsto all’art. 103 l’emersione dei rapporti di lavoro irregolari, mirando a consentire la regolarizzazione dei cittadini non comunitari presenti in Italia da prima dell’8 marzo 2020 e impiegati in specifici settori economici. Tuttavia, è sempre il Dossier Statistico Immigrazione 2022 a riferire che a fronte di 200000 domande presentate dai datori di lavoro, di cui circa 177.000 (85,2%) per lavoro nei servizi alle famiglie e meno di 31.000 (14,8%) per lavoro subordinato in agricoltura e nella pesca, i nuovi permessi di lavoro rilasciati rappresentano meno di un quarto delle domande presentate.

Ed è dunque un grosso limite nella governance dei flussi e delle presenze, che impatta negativamente sulla vita dei migranti e, più in generale, sulla società italiana. È sempre più necessario, dunque, liberare flussi di migrazione regolare. È questo il fulcro del ragionamento che vogliamo portare avanti come Forum a partire dal convegno che si terrà il prossimo 9 novembre a Roma. A partire da una convinzione: che esista una energia positiva sottesa alle migrazioni internazionali che, in quanto tale, dovrà essere liberata, perché si tratta di un movimento esistenziale, innato, naturale, necessario.

Verso il 9 Novembre vogliamo dare voce e spazio a tutte quelle persone, realtà e associazioni che sul territorio hanno storie di flussi da raccontare. Per questo, invitiamo a scrivere a comunicazione@percambiarelordinedellecose.eu

Grafica di Hazem Saeed

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