Le (non) novità del Decreto Flussi 2026-2028: un’analisi di Forum e Legal Aid

Già nell’ottobre 2024 definivamo l’allora nuovo Decreto Flussi (2023-2025) una “riforma a metà e con molte ombre”. A meno di un anno di distanza, con il varo del DPCM 2026–2028, possiamo dire che quelle ombre non solo permangono, ma si sono fatte ancora più dense. Il nuovo Decreto Flussi presenta un’architettura complessiva molto simile alla precedente: ingressi regolati da un meccanismo opaco e inefficace – l’ormai famigerato click day – e una gestione che continua a produrre precarietà e invisibilità, lasciando ampio spazio a truffe e criminalità organizzata.

Alcuni dati dal 2023-2024
Il fallimento del precedente decreto è nei numeri: secondo la campagna “Ero Straniero”, nel 2024 solo il 7,8% delle domande si è tradotto in un permesso effettivo e in un contratto di lavoro. Nel 2023, la percentuale era appena del 13%. In pratica, oltre il 90% delle quote autorizzate resta senza esito. Come abbiamo già sottolineato in passato, sono centinaia i/le lavoratori/trici straniere che avrebbero dovuto sottoscrivere il proprio contratto di soggiorno presso gli Sportelli Unici, che si ritrovano invece sospese nell’irregolarità, truffate e senza alcuna possibilità di emersione.
È proprio da questo fallimento che il nuovo decreto sarebbe potuto ripartire, affrontando le falle sistemiche e sanando le situazioni di irregolarità prodotte. Invece, nulla di tutto questo sembra essere presente nella nuova normativa.

La nuova programmazione triennale non prevede infatti alcuna forma di regolarizzazione o possibilità di emersione per tutte le persone che, una volta giunte in Italia, si sono trovate con datori di lavoro inesistenti o indisponibili a sottoscrivere i contratti di soggiorno, vittime di truffe, completamente invisibili e, di conseguenza, vergognosamente sfruttabili.

Le richieste di regolarizzazione: l’esperienza degli sportelli della rete del Forum e le sentenze dei TAR
Dagli ultimi mesi del 2024 abbiamo ricevuto centinaia di richieste di supporto legale da persone che sono entrate in Italia con visto per lavoro ma che non hanno potuto formalizzare la richiesta di permesso di soggiorno per assenza o indisponibilità del datore di lavoro. Per questi/e lavoratori/trici straniere abbiamo elaborato una strategia che permettesse loro di avviare una procedura di regolarizzazione, che spesso ha richiesto l’intervento dei legali dei nostri sportelli, chiamati a fare ricorso a fronte della revoca dei nulla osta al lavoro da parte delle prefetture.
Sono stati i Tribunali Amministrativi Regionali (recentemente TAR Campania sentenze n. 5338-25 e n. 5339-25) a darci ragione – anche sulla scorta delle pronunce del Consiglio di Stato in casi analoghi – e a invitare le Prefetture e le Questure a procedere per il rilascio dei permessi di soggiorno o per lavoro (laddove il/la lavoratore/trice avesse trovato un nuovo datore di lavoro) o per attesa occupazione (nei casi di lavoratori/trici che una volta in Italia non avessero trovato un nuovo datore di lavoro).

Nuovo il decreto, vecchi gli ostacoli
Sul piano amministrativo, le storture del sistema sono aggravate dalla violazione sistematica dei principi della Legge 241/1990, che regola i procedimenti pubblici. Questa legge prevede termini certi per la conclusione degli iter, trasparenza delle comunicazioni, obbligo di motivazione e possibilità di accedere agli atti. Nulla di tutto ciò trova piena applicazione nei procedimenti legati ai flussi migratori. “Il principio fondamentale su cui si basa la 241/1990 è quello per cui non si deve aggravare alcun procedimento con inutili formalità” ci spiega l’avvocato Ferrara dello sportello Legal Aid “tutto l’impianto del decreto flussi, sia quello precedente che quello appena varato, è in contrasto con questo principio”.
Nella circolare interministeriale 9032 dell’ottobre 2024, attuativa del Decreto Flussi 2023 per l’anno 2025, le criticità emergono in maniera cristallina: prendiamo ad esempio il famoso click day, che rappresenta l’unica finestra temporale in cui vengono aperte e accettate le domande definitive di nulla osta, inviate tramite il Portale Servizi (Sportello Unico Immigrazione). Le domande vengono accolte in ordine cronologico fino all’esaurimento delle quote disponibili. Attorno al click day, a cascata, si propagano molte delle criticità, come sottolinea Flavia Lambertucci, operatrice legale a Legal Aid ed esperta di ingressi per lavoro domestico (badanti e caregivers). “Il meccanismo del click day prevede tecnicamente due diversi momenti. Un primo click di precompilazione, nel quale è prevista l’iscrizione al portale online ALI attraverso il sistema SPID/CIE, la registrazione della propria PEC e con essa la registrazione al portale INAD: tutte le comunicazioni arriveranno via PEC. Questo primo momento non equivale alla domanda di invio, bensì alla prenotazione “tecnica”. Il secondo click invece corrisponde all’invio materiale della domanda. Solo chi ha effettuato il primo click correttamente potrà accedere al secondo (il vero e proprio click day), gli altri verranno automaticamente esclusi. L’uso esclusivo della PEC escluderà inevitabilmente chi non ha competenze digitali, come ad esempio un datore di lavoro anziano in cerca di un caregiver: per lui/lei le procedure saranno decisamente un labirinto senza uscita”
“A questo si aggiunge” sostiene il nostro legale dell’associazione “che il click day e tutte le procedure previste dalle circolari attuative si basano su un assioma indimostrato e del tutto presunto privo di alcuna evidenza empirica in quanto, come emerso nelle prime applicazioni pratiche, sono stati penalizzati i datori di lavoro che, in buona fede, non sono stati in grado di rispettare i tempi previsti dalle disposizioni. Nel che emerge la ratio legis insita, auspicata ma non dichiarata – ed evidentemente voluta – di escludere di datori di lavoro onesti ma meno digitalizzati da un lato, e dall’altro di fornire un vero e proprio assist ai “datori provveduti” che utilizzeranno il “primo click” per avviare l’iter previsto dall’art. 22 del dgls. 286/98 – come modificato dal dlgs 147/2024 – e, magari volutamente, non completeranno la procedura. Ciò provocherà un evidente gap di tutela per il lavoratore straniero, il quale solo formalmente potrà ricorrere al TAR avverso il diniego del visto di ingresso, ma stante la formula criptica utilizzata dalle nostre ambasciate (“il nulla osta è stato ritirato o revocato”) difficilmente potrà addurre motivazioni di carattere sostanziale, potendo soltanto presumere senza alcuna certezza, che il motivo sia stata la mancata conferma della procedura (il cosiddetto secondo click)”.

Il coinvolgimento delle parti sociali? Non pervenuto.
Anche i sindacati si sono espressi sulle criticità del decreto flussi per il triennio 2026-28. In un comunicato la UIL ha parlato apertamente di “una lotteria informatica che non garantisce né trasparenza né equità. Il click day – sostiene – favorisce gli intermediari abusivi e produce un mercato parallelo delle domande”. La proposta del sindacato è chiara: sostituire il click day con una graduatoria nazionale basata su criteri oggettivi come l’affidabilità del datore, la coerenza con i fabbisogni territoriali, la qualità dei contratti. La UIL sottolinea anche l’assenza di monitoraggi pubblici sui contratti effettivamente attivati, e la necessità di prevedere, nei casi di truffa o assenza del datore di lavoro, un permesso di soggiorno per attesa occupazione. Anche su questo punto, il nuovo decreto tace.
Infine, anche il coinvolgimento delle parti sociali è rimasto sulla carta. I sindacati e le associazioni che si occupano di lavoratori stranieri sono stati sistematicamente esclusi dalla gestione territoriale delle quote, dalla definizione dei criteri attuativi, e persino dal ruolo dei patronati nella trasmissione delle domande. Un’occasione persa, ancora una volta, per rafforzare il presidio di legalità e accompagnare il percorso migratorio con strumenti di tutela reale.

I “grandi assenti” nel nuovo decreto flussi
Come nei precedenti decreti, anche il nuovo piano stabilisce che una quota significativa degli ingressi sia riservata a cittadini di Paesi che collaborano attivamente con l’Italia in materia di immigrazione e rimpatri. Tale criterio è esplicitamente richiamato dall’articolo 3 del decreto, che fa riferimento alla necessità di accordi bilaterali o intese operative come condizione per l’ammissibilità alla ripartizione delle quote. In questo quadro, assume particolare rilevanza l’analisi dei Paesi esclusi per i quali, nonostante la presenza consolidata di comunità migranti in Italia e la domanda di lavoro da parte del tessuto economico, non risultano previste quote a causa dell’assenza di accordi formali sui rimpatri.

Su questo interviene Giovanna Cavallo (Forum e Legal Aid): “Dai paesi esclusi da questo decreto provengono molti giovani e nuove generazioni di lavoratori/trici e studenti/esse che avrebbero diritto a percorsi di inserimento nell’ambito sia dell’istruzione che professionali, e che non vengono agevolati in nessun modo dalle politiche di questo governo, che in questo modo non fa che alimentare lo sfruttamento e i flussi gestiti dalla criminalità, da chi ha interesse a trafficare gli esseri umani. Questo ci lascia facilmente intendere che non vi sia alcuna intenzione di costruire un politica inclusiva, di inserimento lavorativo e di mobilità internazionale accompagnata da tutele per la vita delle persone”.

Insomma, il nuovo Decreto Flussi non corregge il vecchio, ma lo prolunga. Non riconosce le irregolarità prodotte, ma le archivia. Non affronta gli abusi, ma li normalizza. È, a tutti gli effetti, un’occasione mancata. Non una riforma, ma la replica di un sistema che produce esclusione e sfruttamento, con il sigillo del governo.

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