Per concedere la cittadinanza italiana ai bambini stranieri che frequentano le nostre scuole

Di Franco Lorenzoni*

Alcune precisazioni preliminari sono d’obbligo da parte nostra. La proposta di legge sullo Ius Scholae, che era giunta alla Camera ai primi di luglio per iniziare il suo iter di approvazione, ha subìto una battuta d’arresto – forse definitiva – con la formazione del nuovo governo. Ufficialmente, infatti, la priorità è stata data alla discussione di altre proposte. Tuttavia, le considerazioni di Lorenzoni che qui riportiamo, sulla necessità, cioè, di aprire una discussione sul diritto dei bambini e delle bambine che frequentano le scuole italiane di ricevere la cittadinanza, ci sembrano ancora attuali, oltre che pertinenti rispetto alla mobilitazione che la rete del Forum sta portando avanti nelle ultime settimane sul diritto alla mobilità delle persone, ma anche sul loro diritto a restare, costruendo un adeguato futuro nel nostro Paese.

Il diritto a sentirsi di casa

Abbattere ogni sorta di muri è un obbligo che come educatrici ed educatori dobbiamo sentire verso tutte le infanzie che popolano il nostro paese.

Se vogliamo che le scuole siano all’altezza della nostra Costituzione dobbiamo chiederci, da insegnanti, genitori ed adulti, quali obblighi verso i più giovani siano ancora disattesi.

Il diritto a sentirsi di casa, a essere tutti ugualmente cittadini nel luogo in cui si studia il mondo e si impara insieme a stare nel mondo penso sia uno dei primi a dovere essere garantito.

Ma per essere tutte e tutti cittadini a pieno titolo a scuola, bisogna esserlo anche fuori, nei paesi e nelle città. E le novecentomila ragazze e ragazzi italiani senza cittadinanza che popolano le nostre scuole, ci ricordano quanto questa assenza di diritti costituisca un’erosione costante di fiducia nel proprio futuro, tanto necessaria per crescere serenamente.

Gli ostacoli che incontrano figlie e figli di immigrati nei viaggi all’estero o nello sport, nel non poter viaggiare e tornare in Italia da altri paesi, nel dovere dipendere dalle incertezze della possibilità di rinnovo della carta di soggiorno dei propri genitori, aggravate dalle pessime leggi sull’immigrazione e dagli infami decreti sulla cosiddetta sicurezza, votati all’inizio di questa legislatura e mai abrogati, in base ai quali furono raddoppiati i tempi di accesso alla cittadinanza circondando la vita dei più piccoli da una costante incertezza, costituisce una ferita grave a cui porre rimedio.

La scuola ha come primo compito il dare dignità alla presenza e al pensiero di tutte le bambine e bambini, di tutte le ragazze e ragazzi che la abitano, da qualsiasi latitudine provengano.

Essere ascoltati e credere in sè stessi è la base di quella fiducia reciproca che crea comunità e apre all’apprendimento della lingua e di ogni altro sapere.

Ma questa “piccola cittadinanza”, alla cui costruzione paziente in tante e tanti ci dedichiamo da anni non basta, se non si accompagna a una costruzione culturale capace di opporsi e contrastare tutti coloro che continuano a diffondere i veleni dell’intolleranza e della discriminazione, puntualmente riemersi nelle dichiarazioni bellicose di quei politici che affermano che questa non è una priorità.

Noi docenti, che abbiamo davanti ai nostri occhi tutti i giorni gli oltre novecentomila ragazze e ragazzi senza cittadinanza, pensiamo che insegnare educazione civica a chi non è cittadino a pieno titolo rappresenti una contraddizione a cui abbiamo il dovere di ribellarci.

I diritti, o sono universali, o si chiamano privilegi 

Dobbiamo lavorare a una capillare opera di cura e bonifica sociale e mentale, impegnandoci a costruire e alimentare un immaginario collettivo che sappia riconoscere nella compresenza di culture, lingue ed etnie diverse una grande potenzialità di crescita culturale, sociale ed umana, superando diffidenze e paure.

Dobbiamo contrastare ogni forma di separazione etnica e contrastare con decisione, con atti concreti, l’emarginazione di alunne e alunni stranieri, rifiutando, denunciando e opponendoci in tutti i modi possibili alla formazione di classi ghetto.

Dimostriamo che nelle scuole siamo in grado di costruire comunità inclusive capaci di aprire a un futuro in cui pari diritti siano realmente garantiti a tutte e tutti.

Lo dobbiamo ai più giovani, a cui stiamo consegnando un mondo per troppi versi peggiore di quello che abbiamo trovato.

*Franco Lorenzoni, insegnante, ha fondato e coordina dal 1980 la Casa-laboratorio di Cenci, un centro di sperimentazione educativa che ricerca intorno a temi ecologici, scientifici, interculturali e di inclusione. Per questa attività ha ricevuto nel 2011, insieme a Roberta Passoni, il Premio Lo Straniero. Attivo nel Movimento di Cooperazione Educativa, ha pubblicato Con il cielo negli occhi (Marcon 1991, La Meridiana 2007), L’ospite bambino (Theoria 1994, Nuova Era 2001) e, con Sellerio, I bambini pensano grande. Cronaca di una avventura pedagogica (2014) e I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento (2019). Per i ragazzi Orfeo. La ninfa Siringa e le percussioni pazze dei Coribanti (Rrose Sélavy 2017) e Quando gli animali andavano a piedi (Orecchio Acerbo 2018). Collabora alle riviste «Internazionale», «Cooperazione Educativa», «Gli Asini», «La Vita Scolastica» e «Comune-info».

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